Mamma è andata a fare la guerra

di Fiorenza Valentini
Unitamente alla notizia di quella gentile (!) signora inglese – qualche giornalista ripetente fin dalle elementari l’ha definita ‘marinaia’ – che è stata recentemente prigioniera in Iran con altri quattordici marine maschi, si è appreso che la donna aveva lasciato a casa un bimbo di tre anni per andare volontariamente a fare la guerra in Iraq.
E per ‘fare la guerra’ si intende proprio guerra, visto che il Regno Unito si è alleato con gli Usa con quel preciso intento. Quindi non si tratta di missione di pace, anche se chi è stato bombardato non distingue certamente un soldato da guerra (armato di fucile) e un soldato in pace (missione di) dotato di fucile.
Se la missione è quella di combattere in guerra, tramite le regole di ingaggio si chiarisce fin dall’inizio che oltre alla licenza di sparare si può anche venire colpiti dal fuoco (compreso quello ‘amico’ arrivato per errore), subire gravissime mutilazioni, perfino morire e non tornare a casa mai più. Da notare che il compenso per tutti i soldati volontari è altissimo. Inoltre, in caso di morte, verrà corrisposta dallo Stato di appartenenza una cospicua pensione a vita ai figlioli rimasti orfani (di madre nel caso specifico), e magari potrebbe pure arrivare una bella medaglia d’oro al valor militare, alla memoria.
Partendo dalla certezza che una donna che si offre come volontaria in qualità di militare per recarsi in una nazione dove c’è (o c’è stata) una guerra, è ovviamente giovane – per cui se ha dei figli sono piccoli o piccolissimi –, sarebbe interessante conoscere quali spinte e motivazioni la portano a fare questa scelta. Perché decidere di lasciare i propri bimbi ad altri per lunghi periodi richiede senz’altro un alibi di ferro. Spuntano allora alcuni quesiti su come questo ‘lavoro’ possa essere giustificato dalla secolare ricerca del raggiungimento delle pari opportunità donna-uomo.
Riteniamo che una scusa del tipo «Dovevo lavorare, è stato l’unico lavoro disponibile», sia assolutamente inaccettabile quando una giovane donna ha dei figli piccoli a cui badare. In particolare, riferendosi alla donna marine di cui all’inizio, a Londra e dintorni chi ha veramente voglia di lavorare trova sicuramente un lavoro. Verificato personalmente sul posto.
Se alcune donne-mamma si sentissero tanto portate verso le prestazioni di lavoro da svolgere nell’assistenza sociale, potrebbero sempre dedicare alcune ore del loro tempo al volontariato ospedaliero, oppure badare anche ai bambini di altre donne che si trovassero in stato di necessità per vari motivi. Qualora, invece, il vero desiderio fosse quello di sparare con un fucile, esistono poligoni di tiro al piattello un po’ ovunque.
E non si vuole assolutamente sostenere l’antica, assurda tesi per cui una mamma debba rinunciare a qualsiasi attività extrafamiliare (lavorativa, artistica, sportiva, sociale, letteraria e via dicendo) per stare sempre con i suoi bambini. Alcune attrici del cinema, ad esempio, se devono allontanarsi a lungo per girare un film, portano con sé i figli piccoli.
Qualcuno potrebbe obiettare «E le donne (madri) che fanno il pilota d’aereo, la poliziotta, l’archeologa?». Risposta: «Qui si tratta di mamme che vanno a combattere in guerra, e nemmeno per l’onorevole scopo di difendere la Patria. Non è come giocare a battaglia navale o al campo minato».
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