15 aprile 2007

Città diffusa: cultura diffusa? (Parte I)




di Stefano Ferello
((Luogo culturale veneto: Cinecity di Silea?)



Sapete cos’è una città diffusa? Beh, guardatevi intorno ed avrete subito la risposta!
Gli urbanisti chiamano “città diffusa” un’area composta da tanti comuni, di fatto raggruppati in un’unica entità territoriale dove le singole municipalità si susseguono le une alle altre, senza soluzione di continuità.
Si potrebbe definirla una “metropoli” o “area metropolitana” molto estesa sul territorio, senza però essere una città vera e propria.
Quindi immaginate un’area estesa quanto una grande città europea (Londra), senza però che si sia sviluppata per espansione del centro (quindi Londra senza la City, il Tamigi, Piccadilly Circus, i parchi, il Big Ben, ecc.…).
E’ piuttosto l’insieme di tanti centri con vita ed identità propria, come una rete di piccole città.
La cittá diffusa in sé non costituisce un fenomeno negativo.
Una città diffusa intesa come una vasta area dove la qualità urbana si mantiene più o meno costante non è certo un fenomeno negativo.
Il problema non é l’espansione della città o la fragmentazione del territorio o la città diffusa come perdita irreparabile del centro.
Negativa é la maniera in cui finora si è sviluppata e come tuttora si sta costruendo.
Nella teoria infatti la città diffusa si caratterizza per la formazione di aree omogenee indipendenti ed isolate, collegate tra loro attraverso grandi infrastrutture urbane e tecnologie di comunicazione avanzate.
Nella pratica invece il problema c’è ed è ben presente di fronte, anzi intorno, a noi: in Italia, nella pianura padana, nella cosiddetta “città diffusa centro veneta” (come si definisce l'area tra Venezia Padova Vicenza e Treviso) queste infrastrutture non ci sono !
Aumentando le dimensioni di una città aumentano le distanze medie percorse.
La soluzione non puó essere la costruzione di infrastrutture sempre piú grandi; al contrario é necessario ridurre le distanze da percorrere, avvicinandoci il più possibile a distanze misurabili a scala umana.
Bisogna conciliare quindi le grandi dimensioni di una città diffusa con la necessità (alcuni la definirebbero “un diritto”) di movimento.
Il traffico ha cancellato i confini regionali, provinciali, comunali.
Nella Pianura Padana è nata infatti la "città diffusa" con 20 milioni di persone, tanti quanti sono gli abitanti di Bombay, che percorrono 20 km in media al giorno (nel 1980 erano 10) e 16.000 km all'anno (il doppio rispetto al 1980) su un'area urbana e sub-urbana di 30 mila kmq (con una densità di 650 abitanti a km) pari ad un quarto del Nord Italia.
Ai costi ed agli effetti dell’insediamento si sommano i costi e gli effetti amplificati degli spostamenti.
Il tutto in una provincia fatta di paesini e paesoni al confronto di un’unica vera città.
Città diffusa intesa come insediamenti densi ma non dotati di struttura gerarchica né di chiara appartenenza a una cultura urbana.
Alcuni la definiscono “campagna urbanizzata”, cioè un “continuum territoriale” di aree a medio-alta densità abitativa e imprese collegate al territorio.
E’ l’idea di “terza Italia” cioè policentrismo produttivo, scarsa distinguibilità funzionale, connubio culturale fra città e campagna, omogeneità politico-culturale
In sintesi, è sempre più difficile distinguere tra città e campagna.
Ripeto: la cosa, di per sé, non è necessariamente negativa.
La città diffusa può essere ipotizzata non come dispersione dell’abitato ma piuttosto una diffusione di funzioni sul territorio.

Il problema è che il Veneto negli ultimi trent’anni di “alluvione edilizia” ha conosciuto, grazie al motore della mediapiccola impresa, una metamorfosi radicale ed irreversibile divenendo una unica città diffusa caratterizzata da una singolare conglomerazione fra aree agricole e turistiche, zone produttive e commerciali, aree residenziali, centri storici, ville venete e borghi rurali.
Da un lato conserviamo forti specificità connesse alla propria storia e dall’altro presentiamo caratteri ormai tipici delle realtà metropolitane, quali la perdita della distinzione netta fra centro e periferia, la pervasività della mobilità, la disseminazione dei luoghi produttivi e commerciali, la dislocazione fuori dal centro dei luoghi del divertimento, della formazione e della cultura.
Non il vivere, ma soprattutto il “produrre” sono l’unico credo di questa nostra terra.
La città diffusa veneta, oltre a rappresentare un modello di sviluppo di difficile sostenibilità, mostra un drammatico sottodimensionamento di tutti i servizi pubblici e privati (dai trasporti collettivi in crisi per la dispersione abitativa, alle piazze, al commercio, al cinema, ai servizi sanitari), tra questi occorre menzionare i servizi, le opportunità e le risorse culturali.
E’ proprio su quest’ultimo aspetto che vorrei porre l’attenzione.
Sebbene una quota consistente della popolazione abiti la città diffusa, al di fuori dei grandi centri e dei comuni capaci di politiche culturali di respiro, non esistono dimensioni istituzionali, come ad esempio le aree metropolitane, capaci di affrontare i temi di un “cultural planning” su scala adeguata.
Le Amministrazioni delle Province, che potrebbero in parte occupare questo vuoto, hanno avuto fino ad oggi un ruolo marginale nel settore culturale, né, peraltro esistono leggi sullo sviluppo locale che premino fortemente le aggregazioni intercomunali anche nel settore culturale.
“Quale cultura nella città diffusa?” rappresenta una domanda assai complessa e di difficile definizione: proprio la globalizzazione, le tecnologie di informazione, la connettività abilitano comportamenti culturali e di consumo fortemente urbani in luoghi però molto diversi dalla città e rischiano di demandare ai centri commerciali integrati dai multiplex cinematografici il ruolo primario di contenitore delle opportunità, delle risorse e dei comportamenti culturali.

Il seguito….nel prossimo numero di abecevario!

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1 Comments:

At 20:37, Anonymous Anonimo said...

Ottima spiegazione del fenomeno!

 

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