15 febbraio 2007

Kappannone



di Paolo Posocco
(nelle foto un kapannone e sotto l’idrovora di Caorle)
 
Muoversi per le nostre strade e vedere la campagna aperta, arrivare da fuori e osservare la città avvicinarsi, sono situazioni diventate oramai sempre più rare, infatti è più facile imbattersi in una zona industriale, in una serie di capannoni dove spesso il filo conduttore è lo scatolone anonimo.
Il capannone appunto, l’autentico simbolo del nord est, esempio di forza e debolezza di un sistema economico, di una mentalità ma anche il segno di una mancata crescita, di un vuoto. Alcuni capannoni sembrano gridare l’inno che per anni ha guidato lo sviluppo del veneto e della nostra provincia: “bisignalavorareciò!” che spesso però è diventato solamante quello, prevalicando ogni cosa compreso il nostro territorio. Un panorama o una vista gradevole non danno “schei” non fanno comprare la vettura prestigiosa da guidare da casa al capannone (quando non sono un tutt’uno) e poi “dovendolavorareciò” non c’è il tempo per guardarsi attorno!
Il capannone esempio del modo sbagliato di pensare il lavoro è quello fatto al risparmio, non dando nessuna importanza al lato estetico, ma non per mancanza di danaro, bensì considerando uno spreco rendere gradevole un luogo di lavoro, non considerando la piacevolezza come un valore aggiunto, non comprendendo l’importanza del confort psicologico. Questo appunto è l’approccio di un modo di pensare al lavoro che non riesce ad andare oltre al semplice soldo.
Eppure... eppure il Lavoro non è solo fonte di guadagno ma l’ossatura portante di un sistema sociale, “L’ Italia è una repubblica fondata sul lavoro” art. 1 della nostra costituzione e nello stemma della nostra repubblica c’è una ruota dentata come sfondo, penso che siano segnali precisi della preminente importanza del lavoro nella socetà, anzi della simbiosi che esiste tra di loro! Il vuoto del quale ho accennato in precedenza è proprio l’aver smarrito questo principio democratico, del essere parte di un paese, di uno stato. Anche una cosa così piccola e così puntuale come la costruzione di un luogo di lavoro ha in realtà una sua valenza collettiva e pensarlo anche esteticamente non è un puro esercizio di stile. Il problema quindi non è il capannone in se, necessario anzi indispensabile per la tipologia della piccola industria e  dell’impresa artaginale che sono la nostra forza economica, il problema verte su come lo si è lasciato inserire nel nostro tessuto urbano e nel contesto paesagistico, di come lo abbiamo concepito.
In alcune zone come i dintorni di Tiene, ho potuto incontrare zone industrali meno opprimenti, con una distribuzione meno impattante e con una qualità e gradevolezza del manufatto in “oggetto” che davano un’altra dimensine alla zona, percependola maggiormente inserita nel territorio. Oltretutto esiste una importante tradizione di archeologia industriale nelle nostre terre, elaborati edifici in mattoni faccia vista o con pareti stuccate; fonderie, maglifici, mulini che ora sono diventantati musei, locali, uffici, loft, oppure ospitano nuovamente attività produttive. Queste realtà  sono la dimostrazione tangibile e soprattutto vicina della possibilità di poter pensare diversamente il luogo di lavoro, “el capanon” nel nostro caso. Per questa volta basterebbe quindi guardarsi un pò attorno distraendosi però dal “bisognalavorareciò”!

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1 Comments:

At 22:08, Anonymous Anonimo said...

Diglielo agli architetti. Forse bisogna anche risparmiarecio` quindi addio ai capannoni neoclassici e sotto con quelli squadrati che costano meno.

Articolo assolutamente condivisibile, anche se bisognalavorarecio` Non dovendo lavorare la prospettiva cambia :)))

 

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