Quelli che non hanno una casa

di Fiorenza Valentini
Con il ritorno dell’inverno e del grande freddo, si ripresenta un problema che passa spesso inosservato: quello delle persone che non hanno una casa.
Non sono solo i classici ‘barboni’, vi sono anche uomini e donne più o meno giovani che si ritrovano in questa triste situazione per motivi diversi. Alcuni hanno scelto liberamente di abbandonare una vita apparente ‘normale’ perché ne avevano avuto abbastanza. Abbastanza di regole di vita alle quali non riuscivano ad adattarsi, di non riuscire a trovare o mantenere un lavoro, a integrarsi in un genere di società (o alla stessa loro famiglia) che gli rendevano l’esistenza quasi impossibile.
Del resto chissà a quanti di noi è capitato almeno una volta di voler mollare tutto e andarsene chissà dove a causa dei profondi disagi provocati da situazioni divenute insopportabili. Poi, per mancanza di coraggio o di sufficiente incoscienza, si cerca di rendere sopportabili certe condizioni, quando non si riesce proprio a eliminarle, e si va avanti così.
Altre persone sono state cacciate di casa perché difficili da gestire, o sopportare, o perché troppo diverse; altre ancora a causa di una certa loro tendenza alla microcriminalità – seguita da più o meno brevi soggiorni in carcere – ma soprattutto perché destavano in famiglia un senso di vergogna.
Oppure potrebbero essere rimaste sole e senza alloggio a causa di controverse destinazioni ereditarie o di enormi debiti con il fisco, che non sempre si creano per evasione fiscale. Ma le cause che hanno portato alcune persone a restare senza casa sono molteplici.
Il cittadino cosiddetto ‘normale’, che spesso si autoconcede il diritto di giudicare gli altri come se fosse depositario delle regole-di-vita, se la cava con un “Se la sono andata a cercare loro, questa esistenza da vagabondi!”.
Fortunatamente numerosi Comuni si sono dotati di mense (dove un pasto costa intorno ai 50 cent) e ricoveri notturni gratuiti per alleviare in qualche modo i disagi provocati particolarmente dal freddo.
Se poi qualche cittadino ‘normale’ volesse provvedere a portare presso queste strutture vestiario, scarpe e coperte usati, sarebbe un gesto di solidarietà sociale assai utile, oltretutto con la garanzia di aiutare di persona chi non possiede quasi nulla.
In ogni caso non bisognerebbe aspettare il periodo delle Feste per dare aiuto a chi ne ha bisogno. “A Natale tutti più buoni” non ha alcun valore per chi ha trascorso il resto dell’anno nascosto dietro l’indifferenza generata dall’egoismo, egoismo che spesso sovrasta quelle doti di umanità e solidarietà che illuminano l’essere umano.
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