15 novembre 2006

Identità perduta



di Valeria Siviero

Spesso capita di voler vestire i panni altrui.
Stanchi di una vita noiosa o che ci sta un po’ stretta, decidiamo di cambiare aria, e magari anche le nostre sembianze.
Consapevole che con questa affermazione potrei cadere nel banale o nel “pesante”, tuttavia voglio correre il rischio; sempre chè “banale” si possa considerare un argomento quale la necessità di perdere noi stessi solo per piacere agli altri o per ottenere un lavoro.
E sarei pesante se mi dilungassi su ciò che comporta un troppo radicale cambiamento, fisico e mentale... e non necessariamente in quest’ordine.
Solo chi ha vissuto sulla propria pelle una situazione simile può accorgersi della linea sottile che separa la banalità di un argomento che sembra concentrarsi tutto sull’apparenza da un problema serio e che, purtroppo, riguarda molte persone.
Recentemente (ebbene sì, è tornato il cinema) ho visto “Il diavolo veste Prada”, e mi ha fatto sorridere. Naturale, che faccia sorridere, dato che è una brillante commedia sul mondo dalla moda, ma ci sono dei particolari che, agli occhi di chi ha vissuto un certo tipo di esperienza, fanno riflettere e possono apparire addirittura un po’ tristi.
“Il diavolo veste Prada” è la storia, peraltro verosimile, di una giovane laureata, che si trova catapultata in un ambiente che non le appartiene. Deve cambiare il suo stile di vita (e il suo guardaroba) per ottenere un ambitissimo posto presso la redazione di una famosissima rivista di moda.
Ma quell’ambiente fatto di griffe, lustrini, piegaciglia e, inutile negarlo, congrui stipendi, costringe l’aspirante giornalista a perdere la sua vera identità di ragazza semplice e la allontana dai suoi affetti.
Io credo che a lei infondo piacesse tutto ciò, una volta assimilato il meccanismo e i ritmi che tale lavoro le imponevano, anche se in quello che era costretta a fare c’era ben poco che riguardasse il giornalismo, sua massima aspirazione.
Ma alla fine si rende conto che il prezzo da pagare è molto alto e deve decidere se tornare sui suoi passi e, da elegante e raffinata “schiavetta” di una direttrice dispotica e snob, tornare ad essere padrona di se stessa.
Una bella storia, anche un po’ stile Cenerentola se vogliamo, ma la mia attenzione è caduta in modo particolare su un altro personaggio. La segretaria a cui la protagonista si sostituisce, e che aveva tra l’altro aiutato la nuova assunta in tutto, ne esce sminuita ed è a lei che va la mia simpatia. Emily, così si chiama l’eroica assistente della dispotica direttrice Miranda, tiene veramente al suo lavoro, più di chiunque altro, ed è disposta a tutto per conservare il suo ruolo, ma la sua costanza non viene premiata e viene surclassata dalla nuova arrivata.
Che strana sensazione mi hanno suscitato alcune battute, chiamiamole così, di Emily, tipo: “Ho trovato una dieta infallibile...non mangio!”. E funziona! Vi assicuro che funziona... Così, al party più “in” dell’anno possiamo sfoggiare un bell’abito taglia 38-40 di Valentino e poi... dritte all’ospedale per una flebo.
Quello che volevo dire è che è giusto modificare all’occorrenza la nostra vita, magari cercando di migliorare alcuni lati di noi stessi, anche estetici o per adattarci ad una nuova situazione che lo richiede, ma questo non deve annullare la nostra vera personalità. Scontatissima affermazione lo so, ma vi assicuro che il rischio è sempre in agguato e, tanto, prima o poi torna sempre a galla il nostro vero “io”, di cui siamo gli unici e indiscussi padroni.